Hurrà Grigi

Quindicinale di calcio e non solo

Per ora la musica non cambia….

La scialba partita con la arcigna “Piana” ha messo in luce tutti i difetti possibili di una squadra che continua a strascinarsi arrancando verso un fine campionato deludente. Quattro punti buttati via nelle ultime due gare, contro l’Olbia con la scusante del calo fisico finale e di un po’ di sfortuna sul rimpallo fatale (quello del 3 a 3), con gli “amiatini” senza scusanti di sorta. Anzi, con l’impressione di una pochezza ormai assurta ad abitudine che non solo preoccupa ma giustifica le vibranti proteste finali di uno Stadio Moccagatta comunque “attaccato” a squadra, dirigenza e allenatore. Uno zero a zero che ha la sua origine in una difficoltà nell’impostazione del gioco e in un centrocampo inesistente. Il solo Celia riesce a rendersi pericoloso sulle fasce e a portare avanti palle giocabili per gli attaccanti. A volte anche Suljic lo imita, in posizione più centrale, restando murato, però, da Deiana e soci che giganteggiano in difesa. Eh sì…perche’ a giocar meglio, a praticare quel  calcio veloce, senza fronzoli, incisivo di cui parlava Gregucci nelle interviste prepartita, è stata proprio la compagine toscana, che – complessivamente – non ha rubato nulla. Ha usato astuzie e le classiche “maniere forti”, a volte al limite del regolamento… Ma niente di più. Forse un arbitraggio più attento avrebbe aiutato maggiormente i Grigi, fischiando qualche fallo in più alla “Piana”, ma trincerarsi sul refrain “colpa dell’arbitro” non fa fine. E, soprattutto in questa occasione, non corrisponde a verità . Un Arrighini  evanescente serve a poco, un tandem Gilli – Cleur che, dobbiamo farcene una ragione, non è adatto alla categoria, ancor meno, un Dossena spesso distratto e lento, sono le note peggiori del match. A fronte di un Sulijc, un Eusepi (e poi un Martignago) volenterosi e sempre in corsa ma…non sufficienti a “trasformare l’acqua in vino”. A proposito di “imprese”, e’ la seconda volta che prendiamo in considerazione metafore evangeliche e ciò ci preoccupa. La sofferenza, il cilicio, l’astinenza da deserto, non si addicono ad una piazza già resa magra da decenni di prese in giro. Non ce lo meritiamo. I sostenitori alessandrini lo hanno anche scritto in uno striscione, messo in bella mostra ad inizio partita: “fuori la grinta e la cattiveria sportiva”, “vogliamo risultati” (più sintetico nel testo originale, ma il senso è quello…). Proprio così…continua a mancare la grinta, la “cattiveria sportiva” che ti porta a stare più “appresso” all’avversario, a non dargli tregua, a non lasciare niente di intentato. I novantacinque minuti di rito non sono ne’ una battaglia, ne’ una passeggiata, ne’ qualcosa di scontato dove qualcuno ti regala qualcosa. Sono da costruire in modo meticoloso, minuto per minuto, sostituzione per sostituzione, posizionamento per posizionamento. Con flessibilità già previste e con emergenze (sempre possibili) da non subire scioccamente, convinti dei propri mezzi e con giocate “sicure” su cui basarsi. Ecco…quella che abbiamo visto oggi è una Alessandria approssimativa, inutile a se stessa e al pubblico che, giustamente, alla fine è stato applaudito (per la pazienza dimostrata) dai giocatori stessi. Ed è andata bene così, perché a fronte di tiri della domenica, poco precisi e casuali (i nostri) , loro hanno più volte sfiorato il vantaggio. Già al 14’ con un tiro parato da Valentini con maestria, al 67’ con un colpo di testa alzato sulla traversa sempre da Valentini e al 60’ con un poderoso recupero difensivo di un buon Sulijc che evita un tiro-gol sicuro. Cosenza ha fatto quanto poteva, così come Gazzi ha fatto il suo. Casarini, all’inizio un po’ in ombra, col tempo di è fatto vedere e anche bene. Ma, riprendendo il Vangelo, “vox clamantis in deserto” una sola voce che richiama tutti al loro dovere e riceve solo l’eco di ritorno. Oltre a prendersi anche un sacco di botte dai “concreti” toscani. E’ andata così. A San Gregucci il miracolo.

Pier Luigi Cavalchini

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