Hurrà Grigi

Quindicinale di calcio e non solo

Fontana: “Le vittorie si costruiscono sul campo, lavorando giorno dopo giorno”

Questa settimana la redazione di Hurrà Grigi ha incontrato Gaetano Fontana, centravanti dell’Alessandria nelle stagioni 1995/96 e 1996/97

Fontana quali sono i suoi ricordi?

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Ricordi stupendi. Ai tempi feci una scelta che era dettata dal cuore e dalla parola: il Direttore dell’Alessandria era Melani al quale avevo dato la mia piena disponibilità a lasciare il Padov,a in Serie A, e ad accasarmi in Piemonte per vestire la maglia grigia nonostante le diverse richieste che avevo ricevuto anche in Serie B. Il Direttore rimase colpito da questa mia motivazione, tant’è che divenni anche capitano in quanto Melani non credeva che potessi non cedere alle lusinghe della cadetteria per giungere ad Alessandria. Credevo in quel tipo di progetto e, per poco, non siamo riusciti a realizzare il nostro sogno.

27 agosto 1995 Montevarchi-Alessandria 1-0, è la gara in cui ha debuttato con la maglia grigia: se la ricorda?

E’ stata una brutta partita, una brutta prestazione, un esordio non positivo. ricordo che non stavo bene dal punto di fisico.

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La stagione 1995/96 è terminata per l’Alessandria con il settimo posto, ad un solo punto dal quarto posto. Cosa è mancato per poter raggiungere una posizione di classifica più ragguardevole?

Quella squadra era stata completamente rinnovata, nei suoi interpreti ed ha pagato dazio ad inizio stagione perdendo diversi punti per la mancanza delle prestazioni in quanto mancava compattezza, mancava essere squadra data dal fatto che era il gruppo era stato rinnovato.

Ha avuto una cariera molto lunga: iniziata nel Catanzaro in Serie B e terminata nell’Ascoli in Serie A: quali sono squadre a cui è stato maggiormente legato?

Tutte: non è una risposta di comodo. Dove ho giocato, dove ho lavorato mi sono sempre integrato anche con la città e con la gente del luogo. Ho avuto splendide esperienze personali che hanno rappresentato anni importanti della mia formazione come uomo. Dovunque sono andato mi sono portato quel bagaglio di esperienze e quelle caratteristiche che la gente del luogo mi lasciava.

Quando ha smesso di giocare ha intrapreso la carriera di allenatore: come mai?

Perchè mi piace il lavoro da campo, mi piace lavorare sul terreno di gioco, mi piace insegnare calcio, trasmettere quello che è stato una mia debolezza ed anche una mia forza che è nata proprio a cavallo dell’esperienza ad Alessandria dove mi dicevano di essere un giocatore con delle caratteristiche importanti ma che aveva fatto fatica, fino a quel momento, ad esprimerle: ho dovuto fare un lavoro introspettivo importante per cercare di andare ad attingere da una fonte interiore per potermi esprimere al massimo e colmare quelle lacune che c’erano che fanno parte della formazione personale di ognuno di noi ed avendo fatto quel percorso poi, terminata la carriera calcistica, ho voluto indagare conseguendo dei Master in Programmazione Neuro linguistica in Counseling. Queste esperienze mi hanno dato risposte importanti per quella che era stata la mia costruzione. Mi piace anche elevare l’atleta da un punto di vista umano. Una cosa importante è mettere il calciatore nella migliore condizione per potersi esprimere.

Ha seguito l’Alessandria negli ultimi anni? Che idea si è fatto del lavoro svolto dal Presidente Luca Di Masi?

Seguo l’Alessandria per un fatto di effetto che mi lega all’ambiente. Da lontano è difficile esprimere un giudizio se non si vive realmente la situazione, se non si conoscono bene le dinamiche interne. Ho ammirato la cavalcata che ha fatto l’Alessandria nella stagione in cui c’era Piero Braglia come allenatore fino a quando ha sciupato tutto il vantaggio accumulato nel corso della stagione facendosi scappare la promozione in Serie B che sembrava cosa fatta: quello non riesco a spiegarmelo in quanto non essendo nell’attività della società mi riesce difficile esprimere un concetto. Mi ricordo che feci anche una scappata nel periodo in cui l’allenatore era Pillon ed ho visto una squadra che stava cercando di ritrovarsi con delle grandi potenzialità e pensavo che potesse aggiudicarsi la vittoria finale. La società ha fatto uno sforzo incredibile per cercare di riportare l’Alessandria in una categoria importate. Poi ha deciso di cambiare registro investendo sui giovani, investendo su un allenatore di prospettiva. Questo è un percorso più lungo, le vittorie, a mio avviso, si costruiscono e lo si fa realizzando dei gruppi di lavoro: credo che su questo debba cercare di focalizzarsi di più la società Alessandria. Non sempre spendendo tanti soldi si vince, anzi, quasi mai.

Come vede l’introduzione delle seconde squadre nella Serie C?

C’è ancora confusione. Non si è fatta chiarezza su quello che dovrebbe essere la partecipazione di queste società: non tutte sono pronte. Bisogna studiarlo bene. Sono società che hanno settori giovanili adeguati. Le seconde squadre forniscono la possibilità di fare esperienza per poi, in prosepttiva, valutare questi giocatori dove possono essere collocati. Bisogna guardare a quello che deve essere il format adeguato. Ci sono tante società in sofferenza, si è pagato dazio e di conseguenza questa situazione comporta la modifica del normale andamento di un campionato: si deve rivedere il tutto, compreso le seconde squadre.

Se le dico Gradinata Nord dello stadio Moccagatta di Alessandria cosa mi dice?

Ho ancora negli occhi e nelle orecchie quando feci gol nel match contro il Carpi con un tiro effettuato da metà campo. Erano i minuti finali, mancava poco alla fine della gara e ci fu un lungo applauso, ci furono lunghi cori. Furono minuti, momenti con le lacrime agli occhi, momenti estremamente emozionanti.

PAOLO BARATTO

 

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