Hurrà Grigi

Quindicinale di calcio e non solo

palmyra vivrà per sempre!

siria 17-24.11.2006 bis 152Il vento soffia sul deserto, sulla incantevole Palmyra. Solleva polvere e sabbia e insieme le macerie di una delle più belle e leggendarie città che il mondo ricordi, frutto di una regina illuminata, Zenobia, la quale concepì uno stile architettonico squisito per la sua città, un’impareggiabile e nobile residenza dalle influenze greco-romane, ritoccata al tramonto da un delizioso color cipria. Mi apparve così dopo ore di viaggio via terra, la città di Palmyra. Sorgeva in un’oasi rigogliosa di palme, da qui il nome, che produceva datteri dal gusto sublime e caramelloso, coi quali mi deliziai il palato più volte. All’ingresso c’era un piccolo chiosco che li vendeva. Lo ricordo come fosse ora. A una simile magnificenza non ero preparata, nonostante la sua descrizione mi fosse stata accennata lungo il tragitto; non immaginavo così tanta bellezza. Pensavo di incappare tra le rovine di un’antica città, una di quelle di cui è pieno il mondo, con le solite fondamenta a documentarne la passata esistenza, quelle in cui per capire se si è dinanzi a una strada o a un edificio devi affidarti alle carte, individuando, dai numeri riportati, di cosa si tratta. Per Palmyra non fu necessario. Era bella anche solo da guardare e supponendo fossi stata digiuna della sua storia, non sarebbe stata meno meravigliosa. Infatti quando varcai le sue porte e mi si profilò dinanzi la sua grandiosità, notai che possedeva tutti i crismi di una città che si rispetti con le strade che correvano da nord a sud, i templi e gli edifici strabilianti, come se da poco tempo avesse smesso di essere abitata. Il luogo desertico e secco, mai sfiorato dalle nuvole, l’aveva conservata quasi integralmente. Un viale di colonne fungeva da ingresso: Non ne mancava alcuna; tutte risultavano allineate e svettanti contro un cielo dall’intenso blu. Tutto il fasto di quella via d’accesso mi fece immediatamente intuire quale immensa ricchezza il luogo mi avrebbe riservato e a mano a mano che mi aggiravo al suo interno ne ebbi la prova. I monumentali templi disseminati nella piana color ocra anch’essi dello stesso colore, si stagliavano nell’orizzonte desertico, integri e solenni, accrescendo con la loro presenza il mito di Palmyra e degli dei che in essi si veneravano. La signora del deserto, ora è ostaggio dei miliziani dell’Isis, l’hanno espugnata e con azioni plateali, escogitate per far inorridire il mondo intero viene fatta a pezzi poco alla volta. Ogni giorno si leggono notizie provenienti dalla bella Palmyra , notizie sconfortanti di templi caduti, sbriciolati dalle deflagrazioni di chili e chili di tritolo. Non è rimasto più nessuno a proteggerla. L’ultimo filantropo di cui abbiamo notizie è stato un archeologo giustiziato dai tagliatori di gole. Dopo mesi di prigionia e di interrogatori, volti a estorcergli il nome del luogo in cui le opere d’arte di Palmyra sono conservate, è stato barbaramente ucciso, senza però rilasciare confessioni. Sconforta pensare che di Palmyra non resti più nulla, che cada solo perchè la sua esistenza offende i fanatici islamici; è tuttavia un peso ancor più greve sopportare che il mondo stia a guardare inerme senza intervenire. Non era così che doveva andare, non era quella la sorte che avrei immaginato, vagando in compagnia dei cammelli, dai pregiati ornamenti, tra le sue rovine e tra gli eleganti viali di colonne. Percepivo qualcosa di eterno, un qualcosa a cui non so dare un nome. Forse la voce rassicurante di un dio tra quelli venerati mi faceva dire che si sarebbe conservata per sempre come un gioiello dell’antichità. Forse lo stesso dio era stato l’artefice di tanta bellezza e immortalità, almeno cosi’ mi auguravo che fosse. Pensai lo stesso del teatro: un capolavoro di cesello in cui si riflettevano tutte le meraviglie del mondo, ora teatro di brutalità inaudite, di crudeli esecuzioni da parte di feroci attori assassini. La voce del luogo, di Palmyra, si è spenta ormai, al suo posto si innalza l’implacabile voce della distruzione e della morte. E noi lasciamo che accada, lasciamo Palmyra alla sua sorte. Nemmeno le stirpi sanguigne più bellicose, nemmeno le orde barbariche o le tribù scese dal nord infierendo sulla città con saccheggi e depredazioni causarono alla bella signora del deserto una tale e definitiva distruzione, quanto la nostra indifferenza abbia potuto.

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