Hurrà Grigi

Quindicinale di calcio e non solo

GIOVANNI CAVALLERO: Da Medico Sociale o semplice tifoso, ma sempre al seguito dei Grigi

cavallero«Il primo ricordo che mi viene in mente è di una trasferta a Massa nel giugno 1991: era l’ultima di campionato e noi eravamo già promossi, dopo la vittoria ottenuta in casa contro il Novara grazie a un gol di Fiori: sono andato a prendere alla stazione a Viareggio mia moglie e i miei due figli Roberto ed Edoardo con la macchina di Bencina e poi al ritorno siamo ritornati ad Alessandria tutti insieme sul pullman inisieme ai giocatori…»
È stato questo il primo flash che il dottor Giovannni Cavallero (medico sociale dell’Alessandria per tutta la prima parte degli anni’ 90, nonché tifoso grigio da sempre) mi ha illustrato, nel corso di una piacevole chiacchierata avvenuta in una fredda domenica mattina di fine febbraio, prima di una gita pomeridiana nei pressi di Rapallo (i Grigi avevano già giocato il giorno prima, vincendo in Alto Adige contro il Südtirol…).
In effetti, quello degli anni ‘90 fu un periodo molto bello, anche se forse viene ricordato meno spesso rispetto ad altre epoche: forse perché molti di quei giocatori erano soprattutto di origine toscana e veneta e non sono rimasti ad Aledssandria dopo l’esperienza in maglia grigia…
«Sì, è vero. stiamo parlando di giocatori come Galparoli, Bencina, Zanuttig, Cinello, Giorgio Roselli, Mariani (che tra l’altro ho avuto il piacere di andare a trovare nel suo stabilimento balneare in Toscana, a Poveromo, in provincia di Massa-Carrara… Stefano Mariani: un signor giocatore e una bravissima persona)».
Quand’è iniziato il rapporto di lavoro vero e proprio con l’Alessandria Calcio?
«Io avevo cominciato con l’Asca Galimberti. Mi ricordo ancora, quando feci la visita ai bambini, dai 7 agli 11 anni: avrò compilato qualcosa come 110 o 120 schede… Poi, dopo un anno o due, sono entrato nel giro dell’Alessandria: ho iniziato ad andare in panchina un po’ di volte con le giovanili allenate da Gigi Manueli, Tony Colombo e anche con Donati e Mongardi, visto che c’era un gruppo che arrivava dalla Spal, ai tempi dela Presidenza Vitale. Il tutto, fino ad arrivare all’esordio con la prima squadra nella stagione 90/91, a Montevarchi: un posto veramente ‘caldissimo’ dal punto di vista della tifoseria locale. Ricordo molto bene la partenza il giorno prima con il pullman, insieme ai giocatori e al Signor Gatti, che era l’accompagnatore quando i grigi giocavano in trasferta e l’addetto all’arbitro nelle partite casalinghe. I giocatori mangiavano come d’abitudine sempre molto presto: di giorno, se la partita era alle 14.30, il pranzo era fissato per le dieci e mezza – noi avevamo la deroga e potevamo aspettare almeno fino alle 11… (sorride, ndr) -, mentre la cena non era mai più tardi delle sette, sette e mezza. Il cibo prescelto era sempre lo stesso: pasta, riso e carne, anche se c’erano molti zuccheri, visto che torte ne mangiavano tante».
Un’esperienza piuttosto diversa, quindi, rispetto alle trasferte vissute da semplice tifoso…
«Sicuramente, soprattutto in panchina durante la partita. Ad esempio, quel giorno a Montevarchi mi ci volle un po’ di tempo per abituarmi al segnalinee che continuava a passarmi davanti agli occhi con la bandierina: può sembrare scontato, ma è una prospettiva completamente diversa rispetto ad una partita vista dalla tribuna. Quella gara, tra l’altro, iniziò subito in salita, perché segnò subito la squadra di casa: per fortuna, poi, dopo il pareggio di Mariani, fu Mazzeo a segnare il gol del 2-1. A pochi minuti dalla fine ci fu una mischia incredibile nell’area dei Grigi, con la palla che andò alta di poco sopra la traversa. Io dissi all’Avvocato Alberto Benelle, che era il Team Manager, ‘Se oggi portiamo a casa la vittoria, andiamo in C/1’: era novembre, ma alla fine della stagione i Grigi conquistarono veramente la promozione. Un’altra trasferta che mi ricordo molto bene di quell’anno è stata quella a Novara: era gennaio e pioveva fortissimo. A Novara le panchine sono particolarmente vicine alla tribuna: ti lascio immaginare gli insulti che ci siamo presi per tutti i 90 minuti, soprattutto quando Mazzeo realizzò il gol in sospetto fuorigioco. E poi, c’è anche un altro aneddoto che mi fa particolarmente piacere ricordare di quella trasferta…»
Quale?
«Molti non ci crederanno, però ad un certo punto Mister Sabadini voleva togliere proprio Mazzeo, per fare entrare un centrocampista. Io mi sono permesso di dirgli: ‘Perché togliere una punta che comunque tiene impegnato almeno un difensore?’ Alla fine Mazzeo restò in campo e poco dopo segnò il gol della vittoria…»
Com’era Sabadini, vivendoci a stretto contatto?
«Era simpaticissimo: aperto, intelligente, preparato, aperto al dialogo, al confronto e alla discussione. Ho un ottimo ricordo del Mister friulano».
Negli anni successivi, poi, come proseguì l’esperienza da medico sociale?
«Ad esempio, nell’anno successivo mi ricordo una trasferta fatta a Trieste, poi persa per 1-0, dopo che in casa avevamo battuto l’Empoli in cui giocava Spalletti a centrocampo. Nelle partite in casa, ero quasi sempre seduto vicino alla moglie di Colombo, Caterina, e Lisetta, la moglie di Michele Sandroni, che era particolarmente scatenata: urlava e incitava i grigi veramente dal primo al 90°. Poi arrivò come nuovo allenatore Ferruccio Mazzola (anche lui una bravissima persona, anche se un po’ più chiuso come carattere rispetto a Sabadini) e nuovi giocatori come Perugi, Serioli, Banchelli e molti altri: ricordo il pareggio di Vicenza, nel maggio del 1993, che sancì la promozione della squadra veneta e la salvezza per i grigi. Nell’anno successivo ci fu la partenza di Banchelli (che era all’Alessandria soltanto in prestito) e l’arrivo di quel ‘matto’ di Fermanelli, che tirava tutte le punizioni: a Fiorenzuola ne tirò una ventina, ma non una nello specchio della porta! Sempre con Mazzola allenatore andai in trasferta a Spezia, altra trasferta storicamente ‘calda’, con la partita che finì 0-0. E poi la partita contro il Vicenza, giocata come recupero perché la prima era stata sospesa per nebbia: in quella circostanza i grigi riuscirono nell’impresa di sbagliare due rigori in pochissimi minuti…».
Che ricordo ha del giorno dell’alluvione, il 6 novembre 1994, in cui si sarebbe dovuta giocare Alessandria-Bologna?
«Quella mattina io ero operativo al Pronto Soccorso. Appena uscito, ho visto i vigili con dei sacchi di sabbia che avevano bloccato il traffico, ma non avevo avuto subito la percezione di quanto era accaduto e, soprattutto, di cosa sarebbe successo nelle ore successive. In pratica, la notizia vera e propria la sentii alla radio, quando fu interrotto ‘Tutto il calcio minuto per minuto’ e il Sindaco spiegò esattamente come la situazione si stesse evolvendo in modo drammatico».
Tornando ad argomenti più leggeri, so che non ha mai amato particolarmente la maglia rossa utilizzata in molte circostanze dall’Alessandria…
(Sorride ancora, ndr) «Sì, perché secondo me non ha mai portato bene: a partire dalle partite giocate nell’ultimo anno di Serie A, contro squadre che erano alla nostra portata come Udinese (in cui segno Bettini, che poi è stato una bandiera dell’Alessandria) e Spal. Contro la Spal mio zio confuse addirittura le squadre, visto che la squadra di Ferrara aveva una maglia azzurrina con le maniche e l’Alessandria un’anonima divisa rossa».
E andando a ritroso nel tempo, arriviamo ai ricordi degli ultimi anni di Serie A, visti da bambino…
«Ci sono dei particolari che non si dimenticano, anche se sono passati tanti anni: ad esempio, il gol che ti dicevo prima di Bettini. Era metà novembre e pioveva a dirotto: ad un certo punto, l’attaccante riceve un pallone, spalle alla porta. Finge di andare a sinistra e poi si gira di scatto, effettuando un tiro angolato che si insacca nella porta difesa da Arbizzani. Oppure l’esordio di Rivera, che non aveva ancora 16 anni, contro l’Inter: era il 2 giugno del 1959. O ancora le sfide contro la Juventus, come ad esempio quella persa per 2-0, con il primo gol che arriva dopo una mischia in area con un colpo di tacco di Nicolè – era la sua specialità – e il raddoppio di Charles (peraltro, in quella partita, ci fu anche un netto fuorigioco dei giocatori bianconeri non sanzionato). Fu un peccato retrocedere a fine anno, anche perchè nel girone di andata la squadra aveva avuto un buon rendimento. Poi ci sono stati tante stagioni belissime di Serie B e i primi anni della vecchia Serie C, vissuti nella Gradinata Nord. C’è una foto presente su un vecchio giornale che si chiamava ‘I Grigi’, curato da Roberto Zaio, in cui mi si intravede in basso a sinistra, mentre nella terza fila in alto, verso il centro, si riconosce chiaramente un giovanissimo Tino Pastorino: la curva era sempre così piena che di inverno non sentivi neanche il freddo… Poi, con il passare degli anni, ho iniziato a vedere le partite in tribuna».
Arrivando al presente, è fiducioso per il prosieguo del campionato?
«Direi proprio di sì. Una squadra che ha fatto così tanti punti in trasferta (e abbiamo vinto a Venezia, Como, Monza, Sassari…) deve arrivare almeno ai play-off. Secondo me, la svolta è stata a Pavia: arrivavamo dalla brutta partita giocata contro il Giana e, nonostante la nostra inferiorità numerica per l’espulsione di Iunco, abbiamo portato a casa tre punti fondamentali. Abbiamo una difesa fortissima, paragonabile forse solo a quella con Galparoli, Accardi, Tonini e Torri. Io penso che possa essere l’anno buono, anche se bisogna mantenere i piedi per terra. Stavamo tornando con il pullman da Pavia e dicevo al mio amico Walter: ‘Pensa se tra qualche anno torniamo da un trasferta a Torino dopo aver pareggiato con la Juventus’. E lui subito mi ha risposto: ‘Piantala lì di sognare!».

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