Hurrà Grigi

Quindicinale di calcio e non solo

Mario Di Cianni: “Per piacere non svegliatemi”

di cianniAggiorniamo la nostra rubrica con Mario Di Cianni, sfegatato ultras grigio, uno dei pochi che è riuscito a vedere l’Alessandria ancora ai vertici del calcio nazionale.
Da quanto vieni in curva? Ricordi la tua prima volta al Moccagatta?
«Iniziai a vedere i Grigi nella stagione 1966-1967, ero un bambino ed erano gli ultimi anni che l’Alessandria giocò in serie B. Mi ricordo una partita in particolare, contro il Genova, che conducevano noi per 0-2 ma che poi i genoani hanno rimontato con un secco 3-2. E noi retrocedemmo. Me la ricordo come una partita strana, anche perché qualche anno, precisamente nel ‘74 dopo ci fu i, gemellaggio proprio con il grifone.»
Cosa vuol dire per te essere tifoso? Hai qualche aneddoto a cui sei particolarmente affezionato?
«Essere tifoso vuol dire sentire quel senso di appartenenza alla squadra, ai tifosi, alla gradinata, allo stadio. Vuol dire sentirsi una parte fondamentale e sentire tutto ciò fondamentale per se stessi. Di aneddoti ce ne sarebbero tanti, ma voglio ricordare e questo ho avuto modo di dirlo e di scriverlo sui social, i ragazzi che da anni ci hanno lasciato. Voglio ricordare i nostri fratelli grigi, ragazzi con cui la vita probabilmente è stata crudele.»
Quale coro porti nel cuore e perché?
«‘Eccoci qua, noi della Nord siamo gli ultrà e canteremo così…’ È legato a una trasferta degli anni ‘80 a Savona, che abbiamo fatto in treno. Arrivati a Genova ci aspettavamo il supporto dei Genoani che però non arrivò, nessuno si presentò in stazione. Il treno ripartì con solo noi mandrogni. Arrivati a Savona intonammo questo coro e ci arrivò una vera e propria grandinata di pietre. Poi però gliele demmo di santa ragione. Il bello di quel periodo però era il rispetto. Nei contatti fisici non spuntavano coltelli, pistole, bastoni. C’era solo ed esclusivamente il contatto fisico. E nessuno si sarebbe mai sognato di andare ad attaccar briga con un padre con suo figlio da mano, o rubare la bandiera ad un bambino. Scene che purtroppo ora si vedono, e frequentemente.»
La partita più bella e la partita più triste?
«Inizierei dalla più triste: sicuramente lo spareggio contro la Reggiana. Avevo sedici anni, il mio primo anno da ultras, in quella stagione c’erano stati contatti con tifoserie importanti, come Verona, Perugia, Atalanta. Un anno indimenticabile finito con una tristezza infinita. Di partite belle… Beh insomma lasciami dire che l’Alessandria in questi quarant’anni non è che mi abbia fatto gioire poi così tanto! Ricordo volentieri tutti i derby vinti con il Casale, uno in casa 3-0 e l’altro, sempre al Moccagatta, vinto al 89’ con il gol di Pino Tortora. Loro per colpa di quel gol sono andati a fare uno spareggio e sono retrocessi… Quando retrocede il Casale per me è sempre una gioia! Comunque, speravo di riuscire a rivedere i Grigi in Serie B prima di morire… Insomma, questa speranza c’è sempre, non smetterò mai di crederci.»
La trasferta più dura a cui tu abbia partecipato?
«Quella di Savona è stata una bella trasferta… Savona, Lucca, Brescia… Ma sopra tutte La Spezia, dove, nel corso degli anni si sono presentate tifoserie di serie A che, detto proprio terra a terra, con noi non avevano tempo da perdere!»
Come vedi il percorso di Di Masi?
«Troppo bello per essere vero, non vorrei risvegliarmi. Un tifoso, corretto competente e innamorato. Una meraviglia.»
Commento su quest’anno e sulla squadra.
«Un’ottima squadra costruita con criterio, un buon centrocampo, un buon attacco. I giocatori arrivati dopo ora si sono dimostrati integrati bene e hanno raggiunto la forma fisica del resto dell’associazione squadra. Io ci credo, come sempre!»

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