Hurrà Grigi

Quindicinale di calcio e non solo

impazzire a palermo

IMG-20151202-WA0007-300x225Ci sono stati momenti in cui non riuscivo più a parlare di Alessandria.

Dal 2007 a questa parte non faccio altro, è l’unica costante all’interno della mia vita, l’unico motivo di insensato orgoglio. Insensato, sì, però è pur sempre orgoglio.
Piangevo quando l’Alessandria perdeva, piansi a Savona, prima sconfitta di tutta la mia vita.
Piansi a Lumezzane due mesi fa, piansi dopo Alessandria – Renate, dopo Alessandria-Venezia, dopo Alessandria-Salernitana. Piansi per tanti motivi, ogni volta. Piansi ogni volta diversamente.
Il singhiozzo dell’ingiustizia, le lacrime amare dell’apatia, il piagnucolio del fallimento, del sogno infranto.
Piangevo e subivo: i titoli di giornale, l’indifferenza della gente che mi circonda, le evidenti voragini tecniche e psicologiche della squadra.
Subivo i commenti di chi mi diceva “Bea ma come fai a tifare l’Alessandria”. Commenti insulsi come le menti che li elaboravano.
Non me n’è mai importato, né di chi commentava in quanto automa passivo, né delle possibili ripercussioni che le loro parole avrebbero avuto sulla mia passione.
Non ho mai sostenuto l’Alessandria perché vincente, non ho mai pensato che questa passione giovasse e migliorasse, in qualche modo, la mia vita. Ho sempre usato come scudo la storia gloriosa, storia archiviata da un pezzo, storia vissuta da mio nonno e da suo padre, storia che sento scorrere nelle mie vene come se mi appartenesse anche se non mi è mai penetrata direttamente.
L’Alessandria è una costante che c’è sempre stata, fin da quando la mia mente iniziò a intendere e a volere.
La mia mente intendeva il linguaggio del calcio, il mio cuore voleva l’Alessandria.
Un combo perfetto, un mix tra un mondo straordinariamente grande e una realtà straordinariamente inconcepibile per una bambina tutta bambole gonne e fiocchetti.
A otto anni avevo già compreso il senso di quelli che sarebbero stati i miei futuri anni di vita. Anni di vita che ora, non cambierei con quelli di nessun altro.
Gli sguardi maliziosi; le parole di un professore troppo piatto per avere passioni sincere, troppo rigido per poter comprendere il mio mondo; le incomprensioni con i genitori; i 4 di Matematica in prima media “perché domenica i Grigi hanno giocato al Bentegodi, non avevo tempo per le espressioni con le frazioni”; la voglia di riscattare tutta la negatività che mi gravava intorno: dai dissidi familiari ai litigi con gli amici, da alcuni (pochi per fortuna) scivoloni a scuola ai Grigi che non giravano.
Sono stata presa in giro tante volte, la maggior parte inconsapevolmente: quando la gente mi passa vicino e ridendo mi dice “Oh, Forza Grigi!” io rispondo con un sorriso insapore, della serie “ma cosa vuoi saperne tu…”. Tutte quelle frecciatine, tutte quelle battutine maliziose e senza basi logiche, scagliate con la pura e semplice voglia di far sovrastare la propria ignoranza passionale alla mia definita e definitiva scelta di vita, da oggiAggiungi un appuntamento per oggi non trovano più risposta nel mio falso sorriso (incomprensibile per le loro stringatissime menti), ma nei novanta minuti di ieri.
Tifare Alessandria è sempre stata una sofferenza immane, ma è sempre stata una scelta di vita. Almeno io ne ho presa una.
Ora, tutte quelle persone che prima se la ridevano leggendo quello che scrivevo, se la ridevano guardando quanto fossi coinvolta, se la ridevano perché “l’Alessandria quest’anno fallisce”, urlano ai quattro venti le loro più sentite congratulazioni per la squadra della loro città.
Non critico, non giudico, non mi abbasserei mai a tanto… Ma rifletto.
Rifletto sull’idiozia del mondo e… Sul potere dell’Alessandria.
Probabilmente tutte quelle persone che “Bea ma come fai ad andare a Palermo per vedere una partita già destinata, come fai ad andare a vedere l’Alessandria”
si sono già organizzate per venire a Marassi.
Probabilmente tutte quelle persone avranno già condiviso il nostro successo su tutti gli universi virtuali possibili e realizzati.
Probabilmente la domenica si ritroveranno in curva a cantare “son talmente deficiente”.
Probabilmente appena una partita girerà male torneranno alle loro sedentarie concezioni.
L’Anti-Alessandrinità è la black-death  di Alessandria, me ne duole, certo, ma fino a un certo punto.
Ho sempre ignorato ciò che mi sono sentita dire, ma l’ho sempre ricordato pensando che prima o poi, qualcosa glielo avrebbe fatto rimangiare.
Io continuo a seguire la mia squadra, mi sono fatta 2.300 km in 24 ore e felice che sono, ho pianto per il gol di Nicco abbracciando i miei compagni di viaggio e non c’è stato momento più bello, ho fatto il viaggio di ritorno con la maglia 21 sulle gambe: l’Alessandria ti porta anche a intrecciare legami impensabili con persone inspiegabilmente speciali, persone che ti entrano nel cuore e dopo poco tempo e che ti migliorano, ti fanno crescere , ti sgridano, ti premiano.
Ora io sono qui, con le mie occhiaie violacee, con i lividi sulle gambe per aver saltato troppe volte giù da quei seggiolini di plastica, con mitragliate di messaggi gioiosi che arrivano dal Kentucky, da Genova, da Tolone, da Napoli… E sono felice.
Ora io sono qui, con i quotidiani sulla scrivania insieme al libro di letteratura latina aperto sul De Rerum Natura. Il mio occhio continua a cadere su quei giornali e Lucrezio non l’ho nemmeno iniziato.
Ora sono qui, a cercare di concentrarmi invano perché la mia mente è ancora in Sicilia.
Ci sono stati dei momenti in cui non riuscivo più a parlare di Alessandria perché ho già speso più e più volte tutte le parole del vocabolario. Ci sono stati dei momenti in cui non riuscivo a parlare perché il sentimento che mi avvolgeva era logorante e il silenzio si rivelava sempre la medicina migliore.
Ora io sono qui e lasciatemi parlare, lasciatemi spiegare, lasciatemi rispondere a quel tifoso che alla mia affermazione “in otto anni non ho mai visto una cosa del genere” ha risposto “cosa vuoi aver visto tu in otto anni… Io sono qui da quaranta”, facendomene quasi una colpa.
Ho diciassette anni, tanti amici, un percorso di studi che coltivo con determinazione, tanti incontri, tanti scontri, tante persone che mi riempiono attimi romantici o simpatici che siano.
Ho diciassette anni e ho sofferto: ho sofferto per ciò che la vita mi ha sottratto con malvagità, ho sofferto per le lacrime di mia madre e per il tagliente e glaciale sguardo di mio padre davanti al loro progetto di vita andato in frantumi.
Se lo sono ricostruiti da capo e lo hanno fatto egregiamente.
Ho sofferto come chiunque nel mondo, ma a differenza di tanti ho qualcosa che nella sofferenza mi permette di svegliarmi alla mattina con un motivo in più per continuare.
Questo qualcosa si chiama Alessandria e ieri mi ha strappato tutti i ricordi, le emozioni e le negatività represse.
Questo qualcosa si chiama Alessandria e mi fa impazzire.
E a questo punto diventare pazza, forse è l’unica cosa di cui ho la certezza, l’unica cosa che voglio continuare a fare.
La mia Alessandria ha vinto, incredibilmente, spiazzando tutta la penisola e ancora oltre. La nebbia ha soppresso il sole e Lunedì sarò di nuovo in viaggio: questa volta tocca a Mantova, vicinissima, storica, ardua. Vada come vada, succeda quel che succeda.
Che bella la mia vita.

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