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GUADALUPE: SORRISI E COLORI D’OLTREMARE

DSC_1822Guadalupe è un’isola difficile da dimenticare. Fa parte di quei luoghi  che riaffiorano tra i miei ricordi più belli; non perché brilli di beltà sconvolgente ma per qualche ragione recondita, che non  so spiegare. Suppongo sia un riflesso, dovuto alla distanza, a far si che la sua bellezza accresca al solo pensarci. Bella comunque lo era, non c’è che dire, con quel fascino un po’ francese, un riverbero d’oltremare, il quale passava però in secondo piano se messo a confronto con la sua natura intrinseca e il suo sapore di isola tropicale. E’ stata come speravo che fosse, come avevo pronosticato, guardando la sua forma elegante di farfalla che mi faceva volare di fantasia, ancor prima di arrivarci. Il profumo dei fiori, il sapore dei suoi frutti esotici, le vedute incomparabili del mare hanno contribuito a dissipare in me gli aspetti più innaturali dell’isola, permettendo al mio inconscio di far emergere solo il ritratto più vero e somigliante a  quello di una terra dei mari del sud, rigogliosa e selvaggia. Ero più che mai convinta che dalle spiagge dominate dalle dune di sabbia color ocra, dietro al capo di Petite Anse, dovesse, prima o poi, sbarcare un imponente veliero, dalle vele sfilacciate dalla furia delle tempeste, con tutta la ciurma al seguito, pronta a sferrare all’isola un duro colpo in termini di bottino e di conquista. L’avrei vista approdare e salpare con il mitico tesoro da quella spiaggia, senza alcun stupore come se i secoli trascorsi si fossero conservati in bottiglia, una di quelle che il mare restituisce dopo svariato tempo. Ricordo le piantagioni di cacao e di caffè e le fitte foreste aggrovigliate come giungle da cui, attraverso uno spiraglio tra gli alberi e il fogliame, il mio sguardo scorgeva il mare, incorniciato come in un quadro. Quanto mare e quanto verde c’era intorno! Avrei rinnegato le mie origini, lasciato le giungle d’asfalto e le artificiose invenzioni dell’uomo al loro destino, per poter beneficiare per sempre del contatto con la natura e del tepore di quei giorni.  Come un sogno che si avvera, nel cuore dell’inverno, avevo esiliato freddo e gelo, riposto maglioni e coperte di lana per indossare il costume da bagno e, in cambio di quel triste e monocromatico paesaggio, potevo finalmente godere di una gamma infinita di colori, vivi e intensi. I colori furono l’aspetto migliore del mio viaggio a Guadalupe, quelli di cui sento più la mancanza forse perché sono i grandi assenti nel posto in cui vivo. La vita è più spenta senza i colori; il mio umore si intristisce alquanto, riflettendosi nel livido e onnipresente grigio paesaggio. Guadalupe invece era un trionfo di colori e di allegria. Colori, vigorosi e accesi, si spargevano ovunque, giovando al mio stato d’animo. Il sole così limpido e caldo li nutriva, riscaldando di tono le foreste e il mare in un ineguagliabile contrasto. Tutto era imbevuto di colori straordinari. Lo erano i fiori, lo erano i frutti. Persino le giornate meno radiose, quelle in cui le nuvole di passaggio avvolgevano d’argento cielo e mare, rivelavano una luce meravigliosa, in altri luoghi irraggiungibile per intensità. In quei chiaroscuri di brillanti ombre e penombre, si tuffavano, in picchiata tra le onde, stormi di pellicani.  Si scaraventavano sulle prede riempiendo di pesce il lungo e capiente becco. Avidi di pesce, vorticavano nel cielo come aerei da guerra pronti a sferrare il colpo mortale. La crudeltà di cui ero spettatrice era alleggerita dallo scenario fantastico di luci e ombre in cui ero immersa. Il mare assisteva neutrale al banchetto sovrastando con la sua voce lo stridere assordante degli uccelli. Nel clima gioioso e festoso dell’isola non potevano mancare le donne dalle vesti sfavillanti di colori. Abiti vaporosi, che risaltavano ancor più su una corporatura giunonica. Sorridevano sempre  e il loro sorriso aveva anch’esso un colore, il colore dell’allegria e dell’ottimismo ed era il più bello di tutti. Quel sorriso risplendeva sulla pelle scura e contagiava al solo guardarlo. Ovunque andassi, c’era un sorriso per me,  un sorriso sincero, non di convenienza. Fintanto che anch’io ne fui contagiata e imparai a sorridere di più. Poi si sa ogni ambiente ha le sue leggi e tornai ben presto a omologarmi nei ranghi di musi lunghi e brontolio, lasciando oltremare la gaiezza e i sorrisi.

 

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